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Che cos'è l'amore?

6 Febbraio 2025, Nogarè.

Era da ottobre che non mi recavo dal mio vocal coach Domenico per cantare. I miei impegni lavorativi mi avevano completamente assorbita, richiedendo tutta la mia attenzione e le mie energie, e le mie condizioni fisiche nel frattempo erano peggiorate rapidamente. Basti pensare che a Dicembre avevo dovuto acquistare in fretta un depuratore d’aria della IQR per riuscire a stare assieme alla mia famiglia durante la Vigilia di Natale.

Quando finalmente i tempi sono divenuti maturi e me la sono sentita di tornare a lezione, ho aggiornato Domenico rispetto a tutto quello che era successo nel frattempo. Le nostre lezioni, infatti, sono contraddistinte da una gran bella chiaccherata iniziale. Per me, la parte più bella e significativa. Così mi ha raccontato di aver letto il mio libro Incubi di un Mostro, lasciandomi stupefatta. Ci siamo chiesti chi è questo mostro e quali sono i suoi incubi… e proseguendo nel ragionamento, a un certo punto mi ha posto una domanda tanto semplice quanto sconcertante: “per te, che cos’è l’amore?”

Una domanda che mi ha spiazzata. Perché io non mi sento una persona amorevole. Già solo l’atto di pronunciare la parola ‘amore’ mi fa un certo effetto. Ho quindi raccolto la sfida, provando a dare la mia risposta: l’amore è un sentimento che si prova per se stessi, per un’altra persona o per qualcosa. Ci porta a desiderare il suo bene in maniera disinteressata. È un’energia, un calore positivo che si avverte tra noi e l’oggetto del nostro amore, come una specie di ponte.

Ho poi aggiunto che, secondo me, in Italia non veniamo educati in maniera sana all’amore (in Madagascar, ad esempio, ho potuto sperimentare che la situazione è totalmente diversa). La società ci fa credere che amare significhi assolvere a una lista di azioni. Se spuntiamo tutte le voci, possiamo considerarci amorevoli. Ma è davvero così?

Gli ho portato l’esempio sulla genitorialità, visto che per definizione i genitori amano i loro figli in un rapporto generalmente corrisposto. Secondo quanto ho potuto notare, essere un buon genitore oggi sembra voler dire delegare continuamente la cura dei propri figli ad altri: bisogna mandarli dai migliori professori per farli seguire nello studio, bisogna iscriverli in palestra, a calcio o nuoto o pallavolo, o tutti questi sport insieme; bisogna portarli dagli specialisti se hanno problemi, dal parrucchiere e dall’estetista. Bisogna insomma delegare di continuo la loro crescita e il loro benessere, affinché possano performare e stare bene. E nel frattempo, i genitori non ci sono mai, infatti devono lavorare sodo per pagare la babysitter, l’insegnante, il medico, l’istruttore, l’estetista, lo psicologo. E quando sono a casa, nei rari momenti liberi, sono troppo stanchi e stressati per interessarsi ai figli. Giuro, non lo dico in chiave polemica: rilevo semplicemente un dato di fatto. Io non dico che questi genitori non vogliano bene ai loro figli – sia chiaro – ma corrono seriamente il rischio che i loro figli non si sentano amati comunque, nonostante tutti i loro sforzi, perché questo sentimento viene dimostrato loro nel modo sbagliato. E chi non si sente amato, a sua volta farà fatica ad amare.

Alla fin della fiera, questi genitori lavorano senza godersi nulla: né la famiglia, né la vita. Ma la società ha insegnato loro che è perfettamente normale. E così si sentono al loro posto, inseriti come gli altri nella gabbia contraddittoria predisposta dalla società. La contraddizione, infatti, risiede proprio qui: “come mai mio figlio non si sente amato nonostante io mi prodighi per dargli tutto? Non è così che si comporta un genitore amorevole?” Perché amare significa dimostrare l’amore nel modo codificato dalla società. Ma questo è davvero amore?

Io credo che amare i propri figli significhi esserci per loro, donare loro il proprio tempo, le proprie energie. Accudirli in prima persona. Anche se non siamo i migliori in matematica o a pallacanestro, anche se non sappiamo disegnare, tuttavia metterci a fare le operazioni assieme a loro, quei due tiri a canestro che ci chiedono, consentirà loro di sentirsi più amati e di sviluppare un’autostima più salda. “Io valgo, perché mio padre sta con me e mi cura”. I nostri figli vogliono noi.

In definitiva, penso che sia difficile definire questo meraviglioso sentimento, soprattutto se guardiamo il comportamento delle persone. La società ci educa a dimostrarlo nel modo sbagliato, perché di fatto conviene. Spuntare la famosa lista di cui sopra, ci porta inevitabilmente a spendere. E pure tanto! Ma per dimostrare il nostro amore, basterebbe semplicemente esserci. Anzi, mi viene da aggiungere che spesso il regalo è proprio un surrogato riparatore della nostra mancanza di presenza. Il genitore assente, quando finalmente fa ritorno al nido, porta con sé un regalo per farsi perdonare.

Forse dovremmo reimparare a stare di più con le persone che amiamo, con semplicità. A dare noi stessi, piuttosto che dare cose. A esserci, anziché tentare di dimostrare di esserci.

Questo, almeno, è il mio punto di vista attuale. Se poi volete conoscere quello di Domenico, dovrete chiederlo a lui! 🙂

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