ChatGPT: opportunità o minaccia per il mondo del lavoro?

L’introduzione di nuove tecnologie come ChatGPT, soprattutto in ambito lavorativo, potrebbe essere vista come una complicazione ulteriore rispetto a un quadro già di per sé complesso. Tuttavia, se usato correttamente, esso può rappresentare una risorsa preziosa per migliorare la produttività e la qualità del lavoro.

Con la volontà di approfondire luci e ombre in questo scenario delicato, ho deciso di confrontarmi con il Dott. Paolo Gatelli, docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano per il corso “ICT e Società dell’Informazione”, orientato a dare quelle che sono le evidenze di impatto della tecnologia e del digitale sul mondo dei consumi e dell’economia, della moda, come della politica in generale. Quando non insegna è Senior Research Manager CeTIF (Centre on Technology, Innovation and Finance), e quindi gestisce relazioni con il management di banche, assicurazioni e aziende aderenti per l’ideazione, la progettazione e il coinvolgimento in progetti di ricerca e advisory.

Dottor Gatelli, può fare un esempio di applicazione dell’IA rispetto alla sua esperienza?

Certamente. Nel mondo della finanza mi occupo spesso di osservare l’impatto dell’IA sull’ambiente lavorativo, ed è anche l’oggetto del corso nel quale insegno. Pensiamo al mondo dell’assistenza clienti, dove il rapporto problematico tra IA ed essere umano si pone già da anni, soprattutto a livello etico, attraverso l’utilizzo di chatbot preimpostati che diano risposte all’utente finale al posto di persone addette allo svolgimento delle stesse mansioni. In questo caso l’introduzione dell’IA è stata molto utile, ma allo stesso tempo abbiamo dovuto chiederci: è necessario segnalare che si tratta di un’IA e non di un essere umano? La risposta che ci siamo dati è stata affermativa, poiché ne andava della fiducia del cliente. Il dilemma etico risulta evidente nell’ambito della relazione con il cliente, ma se consideriamo la questione dal punto di vista dell’organizzazione aziendale, sorgono quegli ulteriori quesiti che in questo periodo si stanno accentuando grazie all’avvento di ChatGPT.

Come è possibile conciliare l’automazione tecnologica con le competenze elettive acquisite dalle persone nei contesti aziendali?

La risposta che possiamo dare è complessa, ma contrariamente alle aspettative, favorisce dell’essere umano. Risulterà sicuramente più efficace portando un esempio. Te ne propongo uno ripreso dal settore dei sinistri assicurativi, dove l’introduzione dell’IA può avere un impatto significativo sull’utente finale. Esso ci consentirà di riflettere su due ulteriori domande: a) le competenze acquisite possono essere totalmente sostituite dall’IA? Bisogna infatti capire quanto l’IA sia performante rispetto alla persona in termini di tempo e di qualità. In secondo luogo, quando si raggiunge un livello di eccellenza simile a quello dell’IA, quale ruolo verrà assegnato alla persona che ha dedicato 20 o 30 anni a maturare quelle competenze? Torniamo quindi all’esempio e vediamo come verrebbe gestito un incidente: la compagnia assicurativa apre il fascicolo con una serie di figure specializzate che spendono la loro professionalità nel valutare l’entità del danno, controllare la documentazione fornita, svolgere gli accertamenti, e sulla base di queste perizie stimano il plus dell’indennizzo. Sono evidentemente competenze che si acquisiscono nel tempo. Se sostituissimo il loro lavoro di analisi con l’IA, questa andrebbe a vedere tutti gli esempi
di sinistri della stessa tipologia avvenuti in quell’area geografica con le stesse tipologie di danno e stimerebbe un indennizzo. Successivamente io, in qualità di consulente assicurativo, andrei dalla persona, che si trova in uno stato di forte stress e fragilità emotiva, e dovrei essere in grado di motivare l’indennizzo suggerito dall’IA. Primo problema: se questo algoritmo, questa IA costituisce una black box e non mi consente di guardarci dentro, posso fidarmi totalmente del suo output? Secondo: non riesco a motivare al cliente il processo che ha portato a quello stesso output e quindi la mia competenza relazionale maturata nel tempo viene persa. Tutto questo mi porta all’unica conclusione possibile: devo iniziare a ragionare in modo diverso rispetto all’Intelligenza Artificiale, e considerarla nei termini di Augmented Intelligence. E qui torna preponderante l’elemento umano.

Cosa intende con Augmented Intelligence?
L’Intelligenza Artificiale non deve essere pensata come un sostituto dell’essere umano, ma quale strumento che ne potenzi la performance andando a svolgere quelle mansioni di routine che ne appesantirebbero inutilmente il lavoro. La mia opinione è che finché utilizzeremo l’IA come Augmented Intelligence, ovvero uno strumento per richiamare in modo più pratico e veloce la componente nozionistica, per confrontare rapidamente immagini, per generare una sintesi testuale risparmiando ore di lavoro, allora saremo in grado di migliorare la nostra performance senza abusare dell’IA stessa. A presupposto di ciò, dobbiamo avere delle persone che abbiano già maturato per prime quelle capacità di sintesi, di elaborazione, di analisi che consentiranno loro di supervisionare il lavoro dell’IA. Se la mia intelligenza non supera quella artificiale, non sarò in grado di valutarne l’operato. In questo modo diventa chiaro il ruolo del professionista all’interno dell’azienda, il solo che possa sfruttare ChatGPT proponendo un’opera finale degna della fiducia del cliente.

Per Lei il tema della fiducia è cruciale. In che termini?

ChatGPT può unicamente aiutarci a superare gli scogli operativi che incontriamo nello svolgimento della professione, ma gli mancherà sempre il processo creativo e di rielaborazione, nonché l’esperienza che apporto io come persona. Per cui solo io posso conferire all’elaborato finale quella verità che potrà veramente soddisfare le aspettative del cliente o dell’azienda che me lo avrà richiesto. Soltanto io posso alimentare e mantenere il rapporto di fiducia-trust, fiducia che una volta persa è estremamente difficile riguadagnare.

Questo ragionamento funziona molto bene per i ruoli senior. E per quelli junior?
Il junior deve svolgere il lavoro di fatica per crescere. Che cosa può avere in più rispetto a ChatGPT? Rispondere in maniera superficiale a questa domanda ci porterebbe a prediligere ChatGPT e a incorrere nel problema etico. Se parliamo di produttività, probabilmente perdiamo in partenza, per questo dobbiamo lavorare affinché la partita non si giochi sulla mera componente nozionistica. Dobbiamo far evolvere le persone affinché portino nella loro occupazione quei valori aggiunti che possiamo riconoscere in termini di capacità di ragionamento, empatia, analisi di contesto, tutte cose che faremo sempre fatica a trasferire all’IA. In questo senso, quindi, anche il ruolo del junior diventa significativo, poiché dovrà sviluppare quelle competenze comportamentali. Per quanto questa visione possa sembrare molto idealistica, io la vedo in realtà in termini estremamente pratici.

In conclusione, l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nel tessuto lavorativo può rappresentare un’opportunità per migliorare l’efficienza e la produttività, ma non può sostituire l’elemento umano. L’IA non possiede le competenze comportamentali, l’empatia, la capacità di relazionarsi con gli altri e di comprendere il contesto, elementi che sono ancora fondamentali per il successo di qualsiasi attività professionale. Tuttavia, proprio grazie a queste caratteristi che umane, il personale può supervisionare e integrare l’IA, aumentando la propria performance e quella dell’organizzazione nel suo complesso. L’IA può quindi essere vista come un’alleata dell’uomo, in grado di supportarlo e di migliorare il suo lavoro, ma non come un sostituto completo. In questo modo, è possibile massimizzare i vantaggi dell’IA senza perdere di vista l’importanza dell’elemento umano nell’ambiente lavorativo.

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