Filippo Ongaro, l’impresa muove il mondo

«Credo che l’imprenditore sia una persona in grado di cambiare la società, il mondo, la vita di tutti. È una persona idealista, dotata di senso etico, con una visione e che mira in alto, ma che allo stesso tempo si è fatta pragmatica, dal momento che deve fare i conti con la realtà, la quale alle volte sa farsi anche brutale.»

Per comprendere meglio cosa accade ai capi d’azienda in difficoltà e come poter venire loro incontro, ho deciso di intervistare il Dott. Filippo Ongaro. Medico degli astronauti dal 2000 al 2007, è stato il primo italiano a ottenere il diploma in medicina funzionale presso l’Institute for Functional Medicine (AFMCP) e la certificazione in medicina anti-età (ABAARM) presso l’American Academy of Antiaging Medicine. In Italia, insieme a sua moglie Sonja, ha contribuito a fondare e a dirigere l’Istituto di Medicina Rigenerativa e Anti-Aging (ISMERIAN) a Treviso. Nel 2018 ha ideato il Metodo Ongaro®: un approccio scientifico al miglioramento della salute psicofisica, delle relazioni e della realizzazione personale. Il suo obiettivo è quello di aiutare chiunque a sviluppare il suo potenziale per vivere una vita a pieno, e nella sua esperienza ha avuto l’occasione di occuparsi di diversi imprenditori in difficoltà. Insomma, non avrei potuto avere miglior interlocutore!

«Filippo, per te chi è l’imprenditore?»

«Nel mio immaginario l’imprenditore è una persona che sa trasferire e tradurre il suo sogno in una realtà che sta in piedi e che gli altri possano apprezzare. È qualcuno che fa accadere delle cose. Che cosa? Ciò che apporta valore. L’imprenditore nota una mancanza, qualcosa che non funziona come vorrebbe lui – e quindi un’opportunità, e si ingegna per colmarla. Quando prende il suo compito con serietà, l’imprenditore è una chance per portare valore nella società. L’imprenditore infatti porta lavoro, ricchezza, crescita, e quindi credo molto nella sua figura. Credo in definitiva che sia una persona in grado di cambiare la società, il mondo, la vita di tutti. È una persona idealista, dotata di senso etico, con una visione e che mira in alto, ma che allo stesso tempo si è fatta pragmatica, dal momento che deve fare i conti con la realtà, la quale alle volte sa farsi anche brutale.»

«Se dovessi rappresentartelo, quindi, cosa sarebbe? Un eroe?»

«Nell’imprenditoria c’è sicuramente qualcosa di eroico, e penso proprio al desiderio, citato poc’anzi, di tramutare un sogno in qualcosa di solido e duraturo; è un po’, se vogliamo, come l’archetipo del genitore che crea la vita e la accudisce, ci tiene che le cose vadano in un certo modo. Allo stesso modo l’imprenditore dà vita a idee, producendo ricchezze e posti di lavoro. È solito considerare i suoi dipendenti come i propri figli, come parte della sua famiglia; poi mi rendo perfettamente conto che non può essere la norma, che le aziende sono mondi complessi e strutturati, però sarebbe bello che fosse così.»

«Secondo te il senso comune nutre la tua stessa considerazione?»

«Non credo. A parte alcuni casi particolari, penso a Steve Jobs o a Elon Musk, che vengono visti quasi come delle divinità, per quanto riguarda invece gli altri milioni di imprenditori che non beneficiano della stessa visibilità globale, vengono spesso considerati solo come delle persone attaccate al denaro. Questa considerazione negativa dell’imprenditoria è caratteristica dei paesi dell’Europa del Sud, probabilmente giustificata dal retaggio culturale degli ultimi secoli. Qui in Svizzera è già diverso: ho l’impressione che l’imprenditore venga considerato un pezzo importante della società, pur dovendo seguire evidentemente regole e doveri. Qui i soldi non hanno un’accezione negativa: creare ricchezza per gli svizzeri è una cosa bella.»

«In che modo assoceresti il concetto di Libertà alla figura dell’imprenditore?»

«L’imprenditore padroneggia sicuramente un alto grado di libertà, e lo vediamo ad esempio nella scelta dei suoi valori e nella volontà di creare qualcosa che sia suo e conforme al suo sogno originale. Dopodiché è chiaro che nell’operatività dell’impresa non troviamo soltanto la libertà, ma ci sono anche responsabilità, doveri, processi, e di questo ne paga evidentemente lo scotto. Lui, che ha una testa fondamentalmente idealista, di sognatore, creativa, deve anche fare i conti con la realtà e accettare l’esistenza di bilanci, i tassi, i costi, i dipendenti con le loro esigenze. Per dare vita al suo progetto deve essere disponibile a farsi aiutare dagli altri e a scendere a compromessi. Alla fine l’imprenditoria è l’arte di trovare il giusto compromesso. Credo che l’imprenditore debba rendere la sua idea e la sua missione quella di tutti, perché da questo dipende l’impegno che il suo team profonderà nel lavoro.»

«Cosa porta l’imprenditore da te?»

«La maggior parte delle volte l’imprenditore si fa vivo quando si è già schiantato contro a un muro, grande o piccolo che sia. Questo muro può rappresentare un problema di salute importante, oppure qualcosa legato alla sfera personale, penso al partner che se ne va da casa, la litigata coi figli, oppure ancora all’azienda che per qualche motivo non funziona come vorrebbe, dove sono stati rilevati dei grossi cambiamenti che preoccupano – cambiamenti legati al mercato, fino ad arrivare al bilancio in rosso o al debito. Mi immagino quindi una persona che fisicamente inizia a sentirsi stanca, che fatica a essere concentrata nei meeting, che si sente in affanno a prendere decisioni, si accorge improvvisamente di essersi trascurata, che ha lavorato 100 ore alla settimana negli ultimi 20 anni. Determinazione in calo, motivazione molto bassa, sfiducia nei confronti dei collaboratori. Forse si sente addirittura sola. D’altra parte lo comprendo bene: il bravo leader, com’è giusto che sia, mette sul podio tutti i suoi collaboratori quando l’azienda vince; allo stesso tempo, però, dice ‘è colpa mia’ quando si perde.

Non è da stupirsi, quindi, che inizi a contemplare l’idea di investire su se stesso soltanto quando il problema è già sorto. È anche vero che l’imprenditore, una volta compreso il valore di investire in formazione e conoscenze, nonché in benessere e in tecniche di rilassamento, poi è una delle figure che sa apprezzarne l’utilità. Alle volte si dimostra così lungimirante da portare tutto ciò dentro l’azienda, proponendolo ai suoi dipendenti.»

«Secondo te è possibile che un imprenditore abbia difficoltà a chiedere aiuto proprio perché ricopre un ruolo apicale?»

«Certamente, l’imprenditore arriva tardi a chiedere aiuto perché non è abituato a farlo, perché tutti lo considerano forte, non vulnerabile, gli si rivolgono in un certo modo, e quindi nel suo processo mentale non contempla l’idea di aver bisogno di supporto. L’esserti posizionato in un certo modo rende più difficile la predisposizione ad aprirsi, a parlare col prossimo dei problemi e delle difficoltà, e quindi chiedere aiuto.»

«Come aiuteresti un imprenditore?»

«Prima di tutto bisogna calarsi nel suo contesto. Io considero l’azienda alla stregua di un luogo sacro, dove si entra in punta di piedi e si capisce cos’è. Bisogna avere rispetto per la sua storia, gli sforzi che l’hanno resa quello che è, e capire di che cosa ha bisogno l’imprenditore, che spesso si traduce nella necessità macroscopica di agire sulla sua gestione dello stress.

Da una gestione migliore dello stress discendono a cascata una serie di fattori positivi: salute migliore, recuperi migliori, aumento della produttività della forza lavoro, miglioramento della comunicazione tra i collaboratori prima e tra i vari reparti poi, innalzamento della motivazione.

In questo caso possiamo partire da un’analisi del SES (Social Engagement Sistem) e dell’HRV (Heart Rate Variability – Variabilità della Frequenza Cardiaca) per valutare i livelli di stress e frustrazione in azienda. Successivamente mettiamo in atto una serie di attività e di programmi che servono per ottimizzare l’HRV, come le tecniche respiratorie, la meditazione, le tecniche di rilassamento, il tapping, il training autogeno, e osserviamo cosa succede monitorando lo stato di salute psico fisiologico e traducendolo in numeri e grafici comprensibili da tutti. L’ho fatto in passato coi team degli astronauti e ho potuto verificare l’efficacia del metodo. Aggiungo che credo nell’efficacia degli interventi che vanno dall’alto al basso: se aderisce il capo e dà l’esempio, poi l’azienda si allinea, altrimenti i programmi iniziano a essere percepiti come un qualcosa di imposto, non spontaneo. E poi, naturalmente, mi assicuro che i nuovi protocolli appresi diventino abitudine. Come diceva Aristotele, l’eccellenza è un’abitudine, non un risultato.»

«Quando un leader si sente messo in difficoltà passa a essere capo?»

«A volte sì. La trasformazione è piuttosto interessante: quando l’imprenditore si sente sotto pressione inizia ad avere problemi legati alle sue doti di leadership. Peggiora la sua capacità di comunicare con gli altri, smette di essere empatico, perde la capacità di estrapolare il vero valore dai collaboratori, si iper focalizza sui problemi, non è più in grado di organizzarsi, scende a compromessi anche su questioni importanti come quelle di sapore etico. Ne ho visti parecchi così, persone che avevano fatto un ottimo percorso fino a un certo punto ma quando le condizioni ambientali sono cambiate drasticamente non hanno retto il colpo, la capacità di reagire allo stress non è stata quella ideale e si sono tramutati in capi e capetti.»

«Quale messaggio vorresti trasmettere al tuo pubblico?»

«Mi piacerebbe che i nostri lettori riflettessero sul ruolo dell’imprenditore. Sarebbe bello ricordarsi che si tratta di un ruolo fondamentale nella società: se c’è un modo reale e concreto per rendere il mondo un posto migliore è attraverso aziende migliori, pronte a offrire prodotti migliori, servizi migliori, questo infatti è il modo in cui il mondo cambia. Basta osservare che negli ultimi 100 anni, nel bene o nel male, il grosso del cambiamento è avvenuto attraverso aziende, prodotti, servizi. Credo che chi fa impresa ha il dovere di prendersi cura di sé, perché quando sta bene è in grado di lavorare altrettanto bene, e può davvero fare la differenza.»


Ringrazio di cuore il Dott. Filippo Ongaro per avermi dato la possibilità di comprendere un po’ meglio la figura dell’imprenditore e delle problematiche che egli incontra quotidianamente. L’azienda è un organismo complesso dove ogni suo organo deve essere in salute. Quando insegno all’interno dei corsi sulla Gestione delle Risorse Umane, un concetto che cerco sempre di trasmettere è quello di rispettare e valorizzare ogni individuo, si tratti dell’operaio o del dirigente. Ognuno deve fare la sua parte e deve essere messo in grado di svolgere i suoi compiti.

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