Le mille facce dello stress lavoro correlato

Stress e lavoro correlato: una delle piaghe del nostro secolo. L’associazione tra i due concetti scatta automaticamente ogni volta in cui ragiono, assieme ai miei alunni, riguardo alla causa che li ha allontanati dal mondo del lavoro. Ansia generalizzata, sindromi varie e cronicizzate come quelle legate all’apparato gastrointestinale, per non parlare di depressione, attacchi di panico, burnout

Affrontare la tematica riguardo allo stress lavoro correlato è difficile e richiede sempre una certa attenzione, poiché va a toccare paure, esperienze traumatiche, ferite emotive e trascorsi dolorosi, che d’altra parte vanno assolutamente affrontati se si vuole superare l’ostacolo e trovare lavoro. Come posso pretendere di propormi in maniera efficace se mi lascio guidare dalle emozioni sbagliate?

Con l’intenzione di affrontare l’argomento nel migliore dei modi ho deciso di rivolgermi alla Dottoressa Maria Laura Atzeni, forte degli studi psicologici di natura prettamente clinica maturati grazie alla Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e di Comunità presso l’Università degli studi di Torino.

Io: “Buongiorno Dott.ssa Atzeni e grazie per aver preso parte a questa intervista. So che condividiamo l’interesse per la tematica sullo stress. Che cosa ha ispirato la sua tesi di laurea?

M: “Grazie Sara per avermi invitata. Ora le rispondo: ho concluso il mio percorso con la voglia di portare consapevolezza e attenzione da parte delle persone sul proprio stato di salute e questo mi ha spinta a concentrare il lavoro conclusivo del percorso triennale sulla tematica dello stress. Ho analizzato la letteratura a disposizione riguardante gli aspetti sociali psicologici e fisiologici, ricostruendo la storia sugli studi effettuati e la specificità dei fattori implicati nella reazione da stress.

I tempi che ci troviamo a vivere conducono la maggior parte di noi a ritmi frenetici, impegnativi, a entrare continuamente in contatto con una ricca varietà di stimoli. Ciò significa che pretendiamo  continuamente da noi stessi di svolgere in velocità e possibilmente al meglio quel complicato processo di valutazione cognitiva che racchiude tutto il nostro vissuto. Velocemente, al meglio e in maniera automatica.”

Come definirebbe il concetto di stress?

“Non è facile rispondere. Tutt’oggi non esiste una definizione precisa e universalmente condivisa del fenomeno a causa della natura estremamente soggettiva delle esperienze categorizzate fisicamente e psicologicamente come stressanti. L’uso quotidiano e alcune volte improprio del termine “stress” suggerisce la profondità di un fenomeno che, negli ultimi trent’anni, si è diffuso e sviluppato assai rapidamente a causa di condizioni di vita e di lavoro spesso inadeguate rispetto alle capacità e alle risorse degli individui. Nel linguaggio comune viene utilizzato in relazione a condizioni di disagio, logorio, stanchezza, tensione nervosa o anche solo noia, ed etichettato dunque con valenza esclusivamente negativa. Lo stress può essere causato non solo da sforzi fisici intensi e da fattori avversi come il freddo, il caldo, la fame o gli eccessi alimentari, ma anche da fattori psicosociali, tratti di personalità, aspettative proprie ed altrui, acuta competitività, incapacità a fronteggiare piccoli e grandi problemi della vita quotidiana, ma anche da abitudini, stili di vita, credenze. Ad ogni modo, Sara, non dobbiamo vederlo con un’accezione negativa, e infatti, come diceva anche il fisiologo ungherese Hans Selye nel suo libro “The stress of life”, lo stress è un messaggio del nostro corpo indispensabile alla vita.”

Come funziona nel concreto la reazione da stress?

M: “L’individuo, in presenza di un segnale di pericolo, mette in atto delle risposte fisiologiche e non, che lo preparano agli sforzi intensi necessari a combattere o a scappare (flight-fight). Una volta cessata la minaccia questa risposta teoricamente è destinata a estinguersi, per lasciare nuovamente spazio allo stato di equilibrio precedentemente alterato. Ciò di cui stiamo parlando è il principio di omeostasi, per indicare appunto quel processo tramite il quale tendiamo a mantenere un equilibrio dinamico tra interno e esterno, che consente un funzionamento ottimale.”

Prima ha detto che lo stress non è da considerarsi negativo, come mai?

M: “L’attivazione biologica e comportamentale dello stress è un fatto naturale che rientra nei meccanismi adattivi della vita. Lo studioso Selye individua due differenti tipologie di stress: Distress, o stress nocivo, ed Eustress, o esperienza di cambiamento positiva (es. l’atto sessuale, il superamento di un esame, ecc), poiché lo stress non è necessariamente dannoso. Vincere una gara o superare un esame può essere stressante, ma può innescare risposte biologiche molto diverse, che consentono appunto il dispiegamento delle risorse dell’individuo per il raggiungimento del fine/scopo. Questo significa che un aumento dello stress può avere come risultato un aumento della produttività, ma fino a un certo punto e questo limite varia per ognuno di noi. Ogni individuo attua un processo cognitivo di valutazione dello stimolo, una valutazione che si rifà a caratteristiche e vissuti della persona, e si veste dunque di un significato puramente soggettivo. È questa valutazione che produce poi lo scanning di quelle che sono le risorse disponibili per fronteggiare la richiesta e la scelta della strategia di risposta da adottare. Questa valutazione cognitiva è strettamente legata alle caratteristiche soggettive e ai vissuti dell’individuo, che inevitabilmente hanno per lui una valenza emotiva. Un fattore importante è rappresentato dal senso di efficacia personale (Self efficacy) che esercita degli effetti importanti nella salute, sia nel fronteggiare gli eventi stressanti, sia nella modificazione dei comportamenti nocivi. Più le persone sono convinte di poter agire efficacemente, più elevati saranno gli scopi che si proporranno, e maggiore sarà l’impegno e la perseveranza che metteranno nell’esecuzione delle azioni, anche di fronte alle difficoltà e ai fallimenti. ”

E parlando quindi di stress lavoro correlato, come lo definirebbe?

M: “Lo stress lavoro correlato non rappresenta il semplice effetto dell’adempimento di una mansione o di un compito gravoso, ma anche la percezione da parte dell’individuo di trovarsi inserito in un contesto lavorativo, risultante da un insieme di rapporti sociali e formali e non confacente alle proprie esigenze. Lo stress lavorativo si configura dunque come un rapporto di squilibrio tra la persona e il contesto organizzativo e sociale in cui lavora, che si viene a creare nel momento in cui le richieste ricevute a lavoro non sono commisurate alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore e che si manifesta in un insieme di reazioni fisiche ed emotive che possono minare la salute dell’individuo.”

Quali sono le cause oggettive e soggettive dello stress lavoro correlato, come risponderebbe?

M: “I fattori oggettivi attengono al contesto di lavoro, mentre i secondi sono strettamente connessi al singolo individuo e possono ricomprendere tensioni emotive e sociali, percezione di smarrimento, di inadeguatezza, disattenzione. Cooper (1978,1988), con il suo lavoro, individuò cinque sorgenti informative: A. le caratteristiche intrinseche al lavoro, rappresentate da fattori fisici ambientali, potenzialmente incisivi su concentrazione, rendimento ed efficienza del soggetto; B. il ruolo dell’individuo all’interno dell’organizzazione, associato a due potenziali categorie di stressor; C. lo sviluppo di carriera; D. l’andamento del network relazionale in ambito lavorativo e in particolare eventuali conflitti con le diverse posizioni gerarchiche; E. le strutture organizzative e il clima, che determinano come l’individuo percepisce l’ambiente di lavoro e il grado di disponibilità e impegno che decide di investire.”

Come mai diventa importante all’interno delle realtà aziendali tenere sotto controllo lo stress lavoro correlato?

M: “Come detto, lo stress implica reazioni comportamentali che influiscono negativamente sull’efficienza lavorativa. Un soggetto con un disagio vede compromesso il proprio rendimento e inizia a stare male, scegliendo di orientarsi verso l`assenteismo, che comporta dei costi per l`imprenditore. Assenteismo, elevato turnover, scarsa attenzione al controllo della qualità, tabagismo sono solo i primi effetti che l’azienda deve imparare a gestire. Se la situazione di stress permane per un periodo di tempo prolungato si può arrivare nel peggiore dei casi alla malattia professionale, identificabile in una vera e propria patologia. Ciò assume un’importanza maggiore se consideriamo professioni con responsabilità nei confronti di terze persone (come ad esempio le professioni sanitarie). Oltretutto è dimostrato che proprio negli operatori che svolgono tali professioni, l’aumento dei livelli di stress può essere considerato determinante nello sviluppo della sindrome del burnout, specialmente nella sua componente di esaurimento emozionale. Tuttavia è stato anche rilevato che elevati livelli di soddisfazione lavorativa e un maggiore attaccamento al posto di lavoro sono in grado di mediare gli effetti negativi indotti da stress e burnout.”

Secondo lei, Dott.ssa Atzeni, come possiamo agire per migliorare il nostro modo di vivere lo stress?

M: “L’ascolto e la percezione di se stessi è di fondamentale importanza. Scoprire i propri limiti, le proprie risorse, ciò che è in linea con noi o totalmente dissonante, mettere in atto comportamenti adattivi in funzione di questo può determinare nel medio e lungo termine il nostro stato di salute, la nostra soddisfazione e la qualità della nostra vita. Spesso abbiamo la tendenza a lamentarci e attribuire a fattori esterni la responsabilità di quello che accade intorno a noi, perdendo facilmente di vista la nostra capacità/possibilità/dovere verso noi stessi di scegliere sempre e non fermarci fino a trovare la soluzione migliore per noi.”

Ringrazio profondamente la Dottoressa Maria Laura Atzeni per il tempo dedicatomi e il suo contributo per una tematica che ci riguarda tutti da vicino. Lo stress in sé non è né buono né cattivo, risulta invece determinante il modo in cui gestiamo ciò che può condurci a vivere male il contesto lavorativo. Partire da sé, quindi, diventa fondamentale: conoscere se stessi, ciò che possiamo dare, ciò che non rientra invece nelle nostre possibilità, relazionarci con collaboratori e persone motivanti e non, invece, dei sabotatori. Tutto questo e altro ancora, per una qualità di vita al top!

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